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Decreto fiscale: come cambia la norma reverse charge sugli appalti

 

Dl fiscale: Photocredit: Takenda PixabayCon l’approvazione del decreto fiscale, si conferma l’estensione del meccanismo del reverse charge anche al settore appalti. Fortemente criticata dalla categorie nei mesi passati, nel corso dell’iter di approvazione la norma antievasione sugli appalti  ha subito alcune modifiche.

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Tra le varie misure antievasione previste dal decreto fiscale, ce n'è una specifica che riguarda il mondo degli appalti. Si tratta dell’applicazione del “reverse charge” anche agli appalti cosiddetti labour intensive. 

L'evasione negli appalti vale 713 milioni l'anno

La misura contenuta nel decreto fiscale nasce con l'obiettivo di contrastare l’aggiramento della normativa contrattuale in tema di appalti da parte di cooperative o imprese fittizie che, in tal modo, evadono l’Iva e non versano le ritenute fiscali ai lavoratori

Da numerose attività di controllo condotte nel corso degli anni è emerso che spesso i soggetti affidatari dell'appalto ricorrono a questi escamotage per abbassare il prezzo di offerta e vincere la gara. Attività che vale circa 713 milioni l'anno, un tesoretto che, con questa norma, il Governo punta a recuperare.

Nel decreto fiscale è stato stabilito che il committente è tenuto richiedere all’impresa appaltatrice copia delle deleghe di pagamento relative al versamento delle ritenute, trattenute dall’impresa appaltatrice o affidataria e dalle imprese subappaltatrici ai lavoratori direttamente impiegati nell’esecuzione dell’opera o del servizio.

In questo modo il Governo intende evitare possibili elusioni nei versamenti da parte delle imprese appaltatrici o subappaltatrici. 

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Cos'è il reverse change?

Il reverse charge è un meccanismo contabile e fiscale - introdotto dalla normativa europea per contrastare l’evasione dell’IVA - che consente di trasferire l’onere impositivo dall’acquirente al venditore. Fino ad oggi il dispositivo si applicava ad una serie di settori ed attività da cui erano esclusi gli appalti.

Il nuovo Dl fiscale, invece, ha deciso che d’ora in avanti il reverse charge sarà impiegato anche per contrastare l’evasione in questo settore.

Dopo le forti critiche da parte del mondo delle imprese per le quali il nuovo dispositivo rappresentava un “pesante drenaggio di risorse ai danni delle imprese”, nell’iter di approvazione la Camera ha apportato alcune significative modifiche con l’obiettivo di venire parzialmente incontro alle richieste delle categorie.

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Come funziona il reverse charge negli appalti

Se il meccanismo di funzionamento della norma è rimasto più o meno inalterato, nell’iter di conversione del decreto è stata invece introdotta la soglia dei 200mila euro a partire dalla quale scatta l’obbligo del reverse charge

Dal punto di vista operativo il dispositivo prevede che, entro cinque giorni dalla scadenza dei termini per il versamento mensile delle ritenute fiscali, le imprese appaltatrici e subappaltatrici devono rendere disponibili al committente:

  • copia delle deleghe di pagamento;
  • i dati necessari per il riscontro degli importi trattenuti e la congruità del versamento dovuto, nonchè le altre informazioni sul versamento come l’elenco dei lavoratori, le ore lavorate, etc.

Nel caso in cui la ditta appaltatrice non rispettasse gli obblighi di trasmissione previsti dalla norma o non versasse le ritenute fiscali dovute, il committente avrà l‘obbligo di sospendere il pagamento dei corrispettivi maturati dall'impresa appaltatrice o affidataria, finché perdura l'inadempimento, sino a concorrenza del 20% del valore complessivo dell'opera o del servizio (ovvero per un importo pari all'ammontare delle ritenute non versate rispetto ai dati risultanti dalla documentazione trasmessa). 

Nel caso tali imprese, poi, non versassero le somme dovute oppure non trasmettessero tutti i dati necessari per effettuare il versamento per oltre 90 giorni, il committente lo dovrà comunicare all’Agenzia delle entrate.

Le disposizioni si applicheranno dal 1° gennaio 2020.

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I casi in cui la norma antievasione non si applica

Nel caso però le imprese appaltatrici abbiano alcuni requisiti di affidabilità, non saranno tenute al rispetto della nuova disposizione.

In queste circostanze, infatti, l’azienda in possesso di determinati requisiti, potrà procedere al versamento tramite compensazione. I requisiti richiesti, nello specifico, sono:

  • essere in attività da almeno tre anni, in regola con gli obblighi dichiarativi, e aver eseguito nel corso dei periodi d'imposta (cui si riferiscono le dichiarazioni dei redditi presentate nell'ultimo triennio) complessivi versamenti per un importo non inferiore al 10% dell’ammontare dei ricavi risultanti dalle dichiarazioni medesime;
  • non avere iscrizioni a ruolo o accertamenti esecutivi o avvisi di addebito affidati agli agenti della riscossione relativi alle imposte sui redditi, all'imposta regionale sulle attività produttive, alle ritenute e ai contributi previdenziali per importi superiori a 50mila euro per i quali i termini di pagamento siano scaduti e siano ancora dovuti pagamenti o non siano in essere provvedimenti di sospensione. Tali disposizioni non si applicano per le somme oggetto di piani di rateazione per i quali non sia intervenuta decadenza.

Se l’azienda appaltatrice si trova in queste situazioni, per evitare il versamento delle anticipazioni, dovrà comunicarlo al committente (allegando la relativa certificazione), nell'ultimo giorno del mese precedente a quello della scadenza prevista (pari a cinque giorni lavorativi successivi alla scadenza del versamento).

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Misura anti-evasione o capolavoro di complicazione burocratica?

Nei mesi passati si erano dette contrarie alla norma tutte le associazioni di categoria del settore costruzioni.

Secondo le associazioni, infatti, la misura prevista dal decreto fiscale rappresenta un “pesante drenaggio di risorse ai danni delle imprese” che, tra le altre cose, non potranno più utilizzare la compensazione con i rispettivi crediti fiscali.

“Ancora una volta, quindi, per combattere l’evasione fiscale - si legge in un comunicato stampa di metà ottobre - si scelgono strumenti che mettono a rischio il fragile equilibrio finanziario delle imprese, già pesantemente danneggiate dall’introduzione dello split payment”.

Critiche anche per quanto concerne il meccanismo previsto dalla norma che, secondo le associazioni, rappresenta “un capolavoro di complicazione burocratica nella gestione amministrativa dell’appalto”, tale da mettere in pericolo l’esecuzione stessa dell’intera opera. 

Per questi motivi le associazioni avevano chiesto al Governo “l’immediato ritiro della misura iniqua e dannosa che, così come formulata, punisce anche gli operatori sani del settore mettendone a rischio la sopravvivenza”.

Il comunicato di metà ottobre era stato firmato da: Ance; Anaepa Confartigianato edilizia; Confapi Aniem; Alleanza delle cooperative italiane - Produzione, Lavoro, Servizi; Assistal; Casartigiani; Claai; Cna costruzioni; Assoimmobiliare.

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Photocredit: Takenda Pixabay

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